Lo avevano già capito i ricercatori del Centro Cefalee del Besta di Milano, che nel settembre scorso a Vancouver, durante il congresso dell’American Academy of Neurology, avevano presentato uno studio con cui si dimostrava che la meditazione di mindfulness può essere molto efficace per il trattamento del mal di testa.
I soggetti selezionati per la loro ricerca accusavano emicrania cronicamente, con una media di 20 giorni al mese. Attraverso un training di mindfulness, nell’arco di sei settimane, il numero mensile di giorni con mal di testa si mostrava diminuito in modo notevole, fino ad arrivare alla metà rispetto alla condizione iniziale. Nei sei mesi successivi, poi, i pazienti sono riusciti anche a migliorare la capacità di “convivere” con il mal di testa residuo.
Oggi i risultati dei ricercatori italiani sono stati confermati da un altro studio, molto ampio, presentato al congresso di Stresa, conclusosi domenica 29 maggio 2017, in cui il professor Frank Andrasik dell’Università di Memphis ha tenuto una relazione in cui ha sottolineato e chiarito la correlazione neuro anatomica fra emozioni e dolore. Secondo lo studioso, le pratiche di mindulness, guidate da un istruttore, hanno un’azione estremamente efficace sulla riduzione del dolore perché è la mente che comanda il modo in cui viviamo le percezioni corporee, e non il contrario.
La percezione del dolore fisico si associa, infatti, alla paura del dolore stesso e all’aumento di tensione che questa paura provoca. Attraverso le meditazioni insegnate nei protocolli di Jon Kabat Zinn, praticate quotidianamente, è possibile raggiungere in poche settimane un buon livello di consapevolezza, che consente di intercettare le valutazioni automatiche e aprirsi alla possibilità di percepire il presente per quello che realmente è e, se si riesce a “svuotare la mente” si mette a tacere anche il dolore.
La strada per il benessere, ancora una volta, si mostra profondamente collegata alla capacità di imparare come modulare efficacemente la reattività e l’eccessiva attivazione, riducendo i marker biologici dello stress, coinvolti in molti meccanismi neurologici di scatenamento della sofferenza.